di Luca Chierici
La Sala Verdi del Conservatorio di Milano era bella piena, cosa che non era accaduta neanche per Arcadi Volodos, che di pianismo se ne intende, eccome.
Eppure Grigori Sokolov attira sempre, forse anche perché incute un certo timore nel pubblico, pronto ad inginocchiarsi qualsiasi cosa egli faccia, soggiogato dalla perentorietà del gesto, della presenza, dal volume corporeo, dalla straordinaria qualità delle sue interpretazioni. Eppure, al di là della bellezza di ciò che si è ascoltato, ci sono tanti piccoli dettagli che stupiscono coloro che, come lo scrivente, sono ancora convinti che oltre i divini Volodia, Ciro, Claudio (Arrau, ovviamente) eccetera non si possa più andare.
Sokolov è un pianista del dettaglio, e nel dettaglio bisogna per forza soffermarsi. In un programma costruito quanto un poco bislacco si partiva con i mai eseguiti Duetti di Giovanni Sebastiano. E qui giù il cappello perché non si è mai ascoltata, e in questo modo, una geniale creazione che parte da una scrittura a due voci che sfrutta al parossismo le combinazioni contrappuntistiche. Superba era anche la lettura della Partita in do minore, ma qui si rimpiangeva spesso la spontanea condotta di una Argerich (forse perché è rimasta, la Partita, uno dei pochi pezzi che suona ancora in pubblico?). Si vuole dire che qui il nostro Grigori (nostro perché fedele in tanti anni alla Società che lo ospita) tende a stupire con il cesello della dizione ma non si lascia mai andare un attimo a quello che è elemento irrinunciabile in ogni esecuzione che si rispetti: la commozione. E ciò accade anche nelle Mazurke opp. 30 e 50 dove in certi numeri i già nominati Ciro e Volodia ti lasciano di sasso perché vanno al di là delle note e suonano con il cuore – un cuore spesso malato ma di cuore si tratta.
La parte migliore del programma è senz’altro giunta con le Waldszenen di Schumann, dove la precisione analitica di Sokolov è stata tale da ridurre allo schianto anche il più puntiglioso dei critici. Lode a Grigori. Sei bis (non c’è male vero? Qui il cuore dell’artista si apre finalmente alla comunicazione con il suo pubblico) che spaziavano da Purcell a Chopin in un tripudio di trilli e mordenti da lasciarti ancora convinto del fatto che nessuno, neanche i grandi prima citati, potrebbe o avrebbe potuto arrivare a tanto. Grande serata, certo, e pubblico giubilante.
SOKOLOV è l’ultimo della generazione dei GRANDI pianisti…..la qualità del suono unita ad una tecnica straordinaria e ad un fraseggio unico lo pongono su un importante piedistallo del pianismo mondiale!!!