Fare ingresso nella stupenda e modernissima Sala Grande della Elbphilharmonie, ad Amburgo, desta grande emozione, lasciando senza parole anche chi l’avesse vista e apprezzata. Progettata da Herzog & Meuron e Werner Kallmorgen e inaugurata nel 2017, con la sua capienza di 2100 posti, l’acustica impareggiabile, è una delle sale da concerto più straordinarie d’Europa e, forse, del mondo intero.
Già l’edificio esterno colpisce, con la sua mole imponente di oltre cento metri d’altezza, i ventisei piani, l’ubicazione praticamente ‘circondata dall’acqua’, la sua forma concepita per evocare un veliero, ovvero un frastagliato prisma di cristallo inteso a suggerire una gigantesca onda e adagiato sull’antico magazzino Kaispeicher dai caratteristici mattoni rossi risalente all’ormai lontano 1966. Un edificio che comprende anche una più ‘piccola’ sala da 500 posti, una terza sala ancora da poco meno di 200, un hotel, ristoranti, bar, una Spa, un vasto garage ed una cinquantina di appartamenti. Dal complesso, poi, si gode una magnifica vista di Amburgo e dell’Elba. All’interno un dedalo di scale, foyer, caffetterie e molto altro ancora che dà le vertigini.
Entrando in sala colpiscono l’oculata e fascinosa scelta cromatica (prevalgono il colore crema e la calda tonalità del pavimento in legno in abbinamento alle poltroncine grigie), gli oltre 10.000 pannelli acustici in cartongesso sagomati e in parte traforati, la variegata disposizione delle poltrone ‘terrazzate’ ovvero ‘a vigna’ con il palco per l’orchestra e i solisti disposto al centro e, ancora, gli screziati e pluri frazionati corpi d’organo del grande strumento Klais da oltre 4000 canne e 65 registri sul lato destro della sala, in realtà celato dietro grandi elementi scenografici tubolari a simulare l’effetto canne di facciata.
È sabato 27 aprile 2024 quando presso la Großer Saal fa il suo ingresso l’italianissima Orchestra Leonore, dall’ottima coesione e dal bel suono in tutte le sue sezioni, costituita da professori provenienti da rilevanti compagini europee (Maggio Musicale e Fenice, Santa Cecilia e San Carlo, ma anche Sinfoniche di Barcellona, Bonn, Lucerna, Mahler Jugendorchester, Orchestra di Budapest, OSNRai, EUYO, MCO, ORT, NDR e via elencando). Sul podio il suo fondatore e direttore stabile Daniele Giorgi. La matinée nell’ambito del Koinzidenz Festival aveva fatto da tempo il sold out: e non è cosa da poco che un’orchestra italiana venga invitata ad esibirsi in tale blasonata sala. Non solo: in programma figurano Brahms e Mendelssohn che proprio ad Amburgo ebbero i natali. Il privilegio di assistere alle prove acustiche ci offre l’occasione propizia per muoverci in sala e constatare come l’acustica sia ottimale in ogni settore e ad ogni livello. Il riverbero è quello ‘giusto’ e la ‘resa’ praticamente immutata ad auditorium pieno.
In apertura, dinanzi ad una sala stracolma e con un pubblico davvero composito e compostissimo, ma al tempo stesso caloroso già nell’accogliere strumentisti e direttore (molti i giovani e fa piacere rilevarlo), del sommo Brahms si ascoltano le sempre fascinose Variazioni su un tema di Haydn op. 56a del 1873 che costituirono, si sa, dopo le precoci e riuscitissime due Serenate op. 11 e op. 16, una sorta di cartone preparatorio della Prima Sinfonia che, a lungo vagheggiata, giunse a compimento solamente nel 1876. Giorgi imprime la giusta allure al delizioso tema dando rilievo al caldo impasto dei fiati, ottimamente assecondato da una formazione orchestrale davvero di prim’ordine. Stacca un tempo amabile, gesto efficace, preciso, ma anche evocativo e molta comunicativa (evita intenzionalmente la bacchetta e le sue mani hanno una singolare espressività); pare accarezzare l’impasto dei legni, poi ecco le morbide filigrane degli archi protagoniste della Prima variazione. Ognuna il colore giusto e la corretta focalizzazione espressiva: e allora ecco il cipiglio torvo della Seconda, il clima effusivo e armonioso della Terza e i malinconici orizzonti come di ballata nordica della Quarta. Grazie ad un certosino lavoro di concertazione una quantità di dettagli emergono con chiarezza incredibile, e allora il sound crepitante, nervoso e fiabesco al tempo stesso della Quinta, intrisa di bonario umorismo. Giorgi pone poi a reagire ad arte le esuberanti fanfare della Sesta dalla lussureggiante robustezza, con la delicatezza teneramente affettuosa della successiva, in ritmo di siciliana e con le cupezze solipsitiche dell’Ottava increspata di barbagli e inquietanti incisi. Ed è una gioia per gli occhi e per le orecchie, giù giù sino al vasto Finale in guisa di Passacaglia; esplorati incogniti orizzonti e superato di slancio il severo episodio fugato, la festosa riapparizione del tema, suggellata dallo svettare dell’ottavino e dal trillare del triangolo che aggiungono un tocco di euforizzante joie de vivre reca un surplus di emozioni che si sciolgono in copiosi ed entusiastici applausi: è non è cosa da poco da parte degli amburghesi.
Un entusiasmo che si conferma al termine del primo movimento della mendelssohniana Sinfonia ‘Italiana’, percorso da cima a fondo da uno scintillante brio i cui temi zampillano con incantevole slancio, un entusiasmo destinato non a caso a espandersi in calorosi applausi addirittura ‘a scena aperta’ che stupiscono non poco, dato l’aplomb dei nordici abitanti della città anseatica. Il pubblico mostra di apprezzare altresì l’estrema cura di colori e fraseggi sfoggiati nell’elegiaco Andante con quel suo incedere quieto e i toni di un presepio napoletano e così pure nel fluente terzo tempo dai garbati profili. Infine la popolaresca sensualità del pirotecnico Saltarello in cui i giovani orchestrali si gettano a capofitto con un energetico vitalismo che ha dell’incredibile, restituendone tutta la tellurica e ribollente frenesia. Ed è un trionfo di applausi protratti e fragorosi, con plurime chiamate del direttore, ai quali volentieri Giorgi e la ‘sua’ orchestra rispondono idealmente chiudendo il cerchio ancora nel segno dell’amburghese Brahms e offrendo un’esecuzione al fulmicotone della più nota delle Danze Ungheresi, quella in sol minore, tutta ritmo e fluidità melodica, a suggello di un concerto davvero indimenticabile. E dire che, dagli sguardi straniti di alcuni vicini, il pubblico, da un’orchestra italiana, si aspettava (forse) prevedibilmente un Rossini doc: sicché la riapparizione di Brahms dev’essere parsa doppiamente sorprendente.
Non basta, a centro programma successo personale per la violoncellista Natalie Clein, virtuosa di prima grandezza che, in perfetta sintonia con l’orchestra, ha affrontato le policrome e polimorfe atmosfere del Primo di Saint-Saëns in un unico movimento, ma con contrastanti episodi: tra i passaggi che hanno destato maggior emozione, dopo l’assertivo esordio, il delicato e arcaicizzante Allegretto, in punta d’arco, e pare il gustoso remake di un settecentesco minuetto. La Clein ha suono caldo e virtuosismo da vendere, esibito con spavalderia e sicurezza nei passi cadenzanti e nel brillante epilogo. Consensi unanimi e protratti sicché la sorridente violoncellista volentieri si produce ancora offrendo una breve e toccante pagina di Casals (El Cant dell’Ocells) dagli ondeggianti fraseggi.