L’oratorio di Mendelssohn, pagina di raro ascolto, in scena nel teatro milanese con la direzione di Daniel Harding. Tra gli interpreti vocali svetta Christian Gerhaher
di Luca Chierici
PER IL CONSUETO APPUNTAMENTO NATALIZIO, questa volta affidato alla bacchetta di Daniel Harding, la Scala ha effettuato una scelta per molti versi encomiabile, sia per la scarsissima diffusione italiana degli oratori di Mendelssohn che per la eccellente qualità dell’esecuzione. È difficile riassumere in poche righe l’universo di aspetti che circonda i capolavori di Felix Meritis, come l’autore era stato affettuosamente soprannominato da Schumann, nell’ambito della musica sacra. Mendelssohn proveniva da una ricca famiglia ebrea di recente convertita al cattolicesimo, ed era soprattutto cresciuto nel culto di Bach e di Haendel, aveva promosso nel 1829 la prima esecuzione moderna della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian, di alcuni famosi oratori di Georg Friedrich, godeva di un prestigio enorme nell’ambiente culturale tedesco ma anche britannico: insomma era l’uomo ideale che poteva coniugare una tradizione musicale di valore indiscutibile e le nuove istanze del romanticismo, aggiungendo ancora emozioni a un genere che già era stato riportato a nuovo splendore attraverso il classicismo viennese di Haydn e della sua Creazione. D’altro canto il genere dell’Oratorio rappresentava un punto di riferimento imprescindibile per la borghesia illuminata nella Germania del Vormärz e lo stesso Mendelssohn aveva contribuito da par suo al rinnovamento del genere nel 1836 con il Paulus.
La prima esecuzione assoluta dell’Elias, avvenuta a Londra nel 1847, conobbe un successo straordinario per molteplici ragioni: l’impianto narrativo di grande impatto, su un testo da Mendelssohn volutamente circoscritto alle fonti originali dell’Antico Testamento, la presenza di una imponente massa orchestrale e corale, la perfetta fusione tra stile severo e intimismo liederistico, il richiamo a un impianto tipico del teatro d’opera fanno dell’Elias un capolavoro assoluto nel suo genere. Pochissime le occasioni di ascolto si diceva, e il pensiero va a un paio di esecuzioni notevoli avvenute più di dieci anni fa a Monaco, con Sawallisch, e a Firenze con Roberto Abbado. L’altra sera un quartetto di voci importanti tra le quali svettava sicuramente quella del bravissimo Christian Gerhaher, intenso protagonista, e soprattutto il coro della Scala diretto da Bruno Casoni hanno assecondato una lettura molto asciutta da parte di Harding, che ha puntato più sugli aspetti teatrali ed epici della partitura che sul versante cantabile. Ma in questi casi il valore del titolo in programma e il fattore di novità per gran parte del pubblico hanno premiato una serata certamente da ricordare e da arricchire attraverso altre escursioni in un repertorio oggi troppo trascurato.
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